Noi mangiamo per costruire il nostro corpo

Se siete tra coloro che hanno qualche lacuna di troppo, quando si tratta di questi temi, vale la pena di continuare a leggere. Se invece pensate di sapere già tutto, perché non andare avanti lo stesso con la lettura? Chissà, potreste scoprire qualche informazione che neanche voi conoscevate fino a oggi. Dopo tutto, qualunque curiosità o elemento di conoscenza, in questo campo, può rivelarsi molto utile – oltre che interessante – soprattutto dal punto di vista della prevenzione.
Noi mangiamo per costruire il nostro corpo
Quante volte, dopo una faticosa dieta, avete ripreso tutto il peso che avevate perso o addirittura chili in più? Vi capita di sentirvi prigionieri di un corpo inadeguato e di essere ossessionati dalla bilancia, senza però riuscire a cambiare? Non c’è niente di sbagliato in voi. Quello che non funziona sono le classiche diete restrittive, in cui si contano le calorie e si eliminano cibi considerati proibiti allo scopo di raggiungere in poco tempo un fantomatico peso ideale ( se funzionassero , non dovremmo fronteggiare un’epidemia mondiale di obesità).
Mangiare bene e ciò che ci piace è un diritto, non un lusso per pochi magri. Bisogna fermarsi, decidere di capire e modificare davvero l’atteggiamento verso il cibo: abbandonare cattive abitudini alimentari acquisite fin dall’infanzia tornando a nutrirsi in base ai reali bisogni fisiologici, al fine di stare bene.
Chiunque può riuscire , ma questa volta, invece di obbedire a indicazioni impersonali, dovrete imparare ad ascoltare anzitutto voi stessi.
L’uomo fa delle cose inutili, o meglio, apparentemente inutili e lo fa perché è vivo, fatto di carne e spirito, e il suo margine d’errore è ampio tanto quanto la possibilità di ritentare, rivedersi, cambiare se stesso e il mondo che lo circonda.
L’uomo moderno è una macchina complessa che, a differenza di altri macchinari, ha molte possibilità di sbagliare. L’errore fa parte dell’umanità dai tempi di Adamo e Eva ma la saggezza deriva dal “sapere di non sapere”, da quell’autocoscienza e pensiero critico.
L’uomo di oggi è un uomo sbadato che si affida alla tecnologia, ai mass media, ai computer, ai social network. E’ un essere più informato e informatizzato e per questo è sempre più un automa.
Siamo nel 2022 e ancora noi non conosciamo il nostro corpo, bisogna imparare a conoscere il nostro corpo e poi conoscere il cibo, scegliere il cibo da ingerire è vitale per la nostra salute.
Quindi dobbiamo passare dal gossip chiacchiericcio alla scienza dell’alimentazione.
Le calorie non esistono! 
Cominciamo dalle definizioni: una caloria alimentare (kcal) è una unità di misura presa in prestito dalla termodinamica. Essa è definita come la quantità di energia termica (calore) necessaria per scaldare di 1°C (da 14,5 °C a 15,5 °C) 1 kg di acqua pura. Ora, questa unità di misura è specifica per il calore, ovvero è una unità di misura che serve per quantificare l’energia termica.
Allora perché si usa per il cibo? 
Non si usa, infatti. L’energia (che sia termica, elettrica o altro) può essere espressa in mille modi diversi: l’unità di misura ufficiale è il Joule ed è questo che dovrebbe essere usato anche quando parliamo di alimentazione. Un Joule (j) è definito in molti modi (per il lavoro è la forza di un Newton applicata per un metro di lunghezza di percorso, oppure la forza necessaria per sollevare una massa di 102 g per un metro), la cosa importante è che c’è una corrispondenza tra il valore delle calorie e dei Joule: 1 kcal equivale a 4.184 J. Ma non esistono solo queste unità di misura, l’energia può essere misurata in molti modi diversi, ognuno convertibile nell’altro: 2.000 kcal equivalgono a 8.368 kJ, a 7.931 BTU, a 5,2 x 1025 elettronvolt, e potrei continuare ancora per molto.
Perché allora si parla di calorie?
È una convenzione, serve per dare un parametro univoco al cibo. Non è possibile infatti uguagliare le quantità di grammi o litri di cibo assunti senza pensare a quale cibo si sta assumendo: è indubbio che bere un litro d’olio d’oliva ha effetti molto diversi dal bere un litro d’acqua, così come mangiare due chili di frutta o due chili di torta alla crema. Si è così pensato di utilizzare le calorie (o i kilojoule, più correttamente) per dare una uniformità alle misurazioni.
Wilbur Olin Atwater fu il primo a studiare l’energia data dai cibi, applicò la prima legge della termodinamica (l’energia si trasforma ma non si perde né si produce) e, dopo una lunga serie di esperimenti, arrivò a definire la resa energetica dei singoli componenti alimentari: circa 4 kcal per ogni grammo di proteine e zuccheri, circa 9 kcal per ogni grammo di grassi. Voglio sottolineare la parola resa; le calorie non sono una proprietà intrinseca del cibo, ma sono l’energia ceduta dal cibo al corpo. Così come un corpo non contiene di per sé un certa quantità di calore, ma al massimo può scambiarlo e variare la sua temperatura, così il cibo che assumiamo non contiene calorie piuttosto ci dà energia, nel nostro caso energia chimica che usiamo per mandare avanti il nostro metabolismo. Questo è già il primo dei motivi che mi spinge a dire che le calorie non esistono: in effetti è lo scambio di energia che si misura in calorie, non è qualcosa che il cibo si porta dietro (non posso estrarre in laboratorio le calorie di una patata, posso solo misurarle se brucia).
Ogni alimento poi è un insieme di mille cose diverse: proteine, grassi, zuccheri, vitamine, minerali, fibre, sostanze attive, sono tutti distribuiti nei vari cibi; ridurre il tutto ad un mero conteggio delle calorie è non solo ridicolo, ma anche dannoso: un avocado di 100 g ci dà circa 250 kcal, la stessa quantità di energia di circa due pacchetti di crackers. Paragonare questi due alimenti è semplicemente impossibile se non tramite le calorie, ed è anche estremamente sbagliato farlo. Il frutto è enormemente più ricco di nutrienti dei crackers, che invece sono prodotti ben poco salutari. Guardare solo alle calorie porta a giudicare equivalenti fonti alimentari tanto diverse quanto un avocado e i crackers, porta a ritenere che sia più importante mangiare 1200 kcal al giorno piuttosto che mangiare frutta e verdura, porta a sbilanciare la dieta e stare attenti solo al quantitativo, piuttosto che osservare la variabilità e la bontà di quello che si mangia.
Guardare le sole calorie per decidere cosa mangiare è come decidere di acquistare un’auto guardando solo il modello dei cerchioni: è sicuramente qualcosa di cui tenere conto, ma non è affatto così che si deve scegliere. Le calorie dovrebbero rimanere un concetto tecnico; quello che tutti dovrebbero osservare e variare il più possibile é moderare le quantità e non farsi mai mancare niente, altrimenti si rischia di comprarsi una vecchia Fiat Duna con i cerchi in lega.
Noi non mangiamo le calorie dei cibi, mangiamo molecole costituenti nutritive, ossia sostanze fondamentali per il nostro metabolismo quindi per la produzione di energia necessaria per la vita.
I principi nutritivi sono contenuti negli alimenti in vario modo e a seconda del fabbisogno vengono classificati in macronutrienti e micronutrienti. Tra i macronutrienti troviamo le proteine, i carboidrati e i lipidi; i principali micronutrienti sono invece le vitamine e i sali minerali.
Il cuore per mandare avanti i 5 litri di sangue che circola nel nostro organismo utilizza energia chimica e non le calorie.
Prendiamo come esempio un piatto di pasta e un piatto di formaggio: entrambi hanno 400 calorie: ogni volta che noi mangiamo, il cibo modifica la composizione del nostro corpo, cioè, ogni qualvolta che noi mangiamo siamo diversi rispetto prima. Pertanto chi ha mangiato il piatto di pasta avrà nel sangue la glicemia dei carboidrati, mentre chi ha mangiato il formaggio avrà nel sangue gli acidi grassi e aminoacidi che sono contenuti nel formaggio, però nel formaggio non ci sono i carboidrati.
(Negli alimenti c’è una molecola che stimola la percezione sensoriale del nostro organismo che permette di sentire e distinguere il dolce, il salato e altri sapori, le calorie non hanno ne sapori ne odore.)
Dobbiamo imparare a tenere sotto controllo la glicemia dopo pranzo.
Con il termine glicemia si intende la concentrazione di glucosio, ovvero di zuccheri, all’interno del sangue. Questa sostanza è fondamentale per il nostro organismo in quanto nutre le cellule; è importante però che rimanga sempre entro un certo range di valori soprattutto per evitare una situazione di iperglicemia, condizione potenzialmente pericolosa per la salute. In un soggetto sano, valori della glicemia di riferimento si considerano quelli che vanno dai 60 ai 130 mg/dL. Considerate che la glicemia si alza dopo i pasti e diminuisce con il digiuno, di conseguenza subito dopo aver mangiato può arrivare fino a 130-150 mg/dl mentre a digiuno solitamente va da 74 a 106 o 100 (a seconda della metodica usata).
I primi sintomi di un aumento della glicemia possono essere aumento della sete e fame oltre che un maggiore stimolo ad urinare.
Bisogna conoscere il nostro corpo e poi il cibo.
La misurazione della impedenza corporea (Body Impedence Assessment o B.I.A.), è una delle tecniche attualmente più usate ed affidabili per la determinazione della composizione corporea.
Si basa sul dato fisico che l’acqua è un buon conduttore di corrente elettrica, mentre il grasso è un isolante quasi perfetto. Poiché la Massa Magra corporea (Fat Free Mass – FFM) è costituita prevalentemente da acqua, determinando il contenuto di acqua dell’organismo è possibile risalire facilmente al contenuto in FFM, e quindi al contenuto di Massa Grassa (FAT).
Allo scopo, viene utilizzato un apparecchio chiamato Impedenziometro, che, collegato tramite elettrodi al paziente, misura la resistenza che il corpo oppone al passaggio di una corrente debolissima e ad altissima frequenza (50.000 Hz). Dal valore della impedenza corporea, tramite alcuni algoritmi e con l’ausilio di un computer, si risale al contenuto di acqua corporea, di massa magra, di massa grassa, ed al metabolismo basale del paziente.
Quando è utile l’esame impedenziometrico?
Nel corso di qualunque terapia dietetica, è fondamentale per il medico tenere sotto controllo la composizione corporea del paziente. Ogni dieta, infatti, comporta un deficit calorico ed una alterazione del metabolismo a cui l’organismo fa fronte utilizzando (e quindi “bruciando”) il tessuto adiposo. Tuttavia può capitare che in alcune condizioni, venga catabolizzata anche la massa muscolare (massa magra), ed il medico deve essere pronto ad arrestare tale processo, modificando la dieta assegnata.
Vi sono inoltre diverse condizioni in cui il ricambio idrico risulta alterato (la gravidanza, la ritenzione idrica, la disidratazione, l’insufficienza renale, l’uso di diuretici nella terapia dell’ipertensione arteriosa, le disfunzioni surrenaliche, gli iperaldosteronismi e gli ipoaldosteronismi, le condizioni di denutrizione ecc. ecc.). In tali situazioni, la perdita di peso o la mancata perdita di peso, non riflettono necessariamente le variazioni di massa grassa: è possibile infatti che un paziente che non ha perso peso, abbia in realtà perso 1 o 2 Kg di massa grassa, ed abbia aumentato di 1 o 2 Kg. l’acqua corporea. O viceversa, una perdita di 5 Kg di peso, si può rivelare come perdita esclusiva di liquidi, e non di massa grassa (un falso dimagrimento).
Come si effettua l’esame?
Per ottenere un risultato il più possibile accurato, è necessario che il paziente sia a digiuno e senza bere da almeno 4 ore, ed abbia vuotato la vescica subito prima dell’esame. I dati vengono elaborati, e presentati sotto forma di:
Massa Grassa
Massa Magra
Acqua Corporea Totale
Massa Magra Secca (Proteine muscolari, Glicogeno epatico, Minerale osseo)
Metabolismo Basale in relazione alla Massa Magra
Peso Corporeo Ideale
Passare dal gossip dietologico consumistico alla scienza dell’alimentazione è il primo passo.
Dimagrire non significa perdere peso!
Le persone non riescono a comprendere che non sono la stessa cosa e fanno riferimento soltanto a ciò che dice la bilancia. L’approccio corretto dovrebbe essere quello di ridurre il grasso corporeo e non quello di ridurre il peso in linea generale, poiché così facendo si rischia di perdere i muscoli, che sono proprio quelli che dovrebbero aiutare a bruciare il grasso. Le diete poi falliscono anche perché le perdite di peso sono troppo rapide, tanto che il corpo entra in una condizione di difesa e tende, per com’è progettato, a risparmiare il grasso. La cosa principale di cui ci si deve preoccupare è di salvaguardare muscolatura e acqua corporea, perdendo solo ed esclusivamente il grasso in eccesso. Diete da fame porteranno il corpo sostanzialmente a mangiarsi da solo! Regimi alimentari da 800/1000 calorie al giorno non sono sostenibili. In tal caso quasi metà del peso che si perde arriva dal muscolo attraverso un vero proprio processo di cannibalizzazione. Il muscolo è difficile e faticoso da ottenere ma facile da perdere e gli sportivi non dovrebbero perderne neanche un grammo. Avere una buona percentuale di muscolo è il vero segreto per avere un corpo sano e magro, poiché la massa magra consuma molte più calorie anche da fermi, innalzando il metabolismo. La massa grassa al contrario ha un’attività metabolica molto bassa. Ecco perché dimagrire, non significa perdere peso!
Cosa succede nell’organismo a seguito di diete scorrette?
– Aumento dell’attività dell’enzima lipasi lipo-proteica, il quale ha ruolo fondamentale nell’accumulo dei lipidi.
– Rallentamento del metabolismo basale con conseguente difficoltà per il corpo a bruciare i grassi.
La cosa più problematica poi, è che questi processi vanno avanti anche dopo la dieta massacrante, proprio perché il corpo ha un effetto memoria e ricorda esattamente quanto grasso aveva, vorrà riprenderselo e con tanto d’interessi; cercherà quindi di trattenere ogni molecola di grasso ingerito a scapito anche di richiedere energia per questo. Alla fine ti ritroveresti affaticato/a e con una fame da paura, trasformando poi ogni cosa che ingurgiterai in grasso. L’alimentazione deve sempre essere equilibrata e bilanciata e soprattutto pianificata su misura; deve comprendere tutti i macro e micro nutrienti, quindi proteine, carboidrati, grassi e vitamine e sali minerali, nelle quantità corrette.
In attesa di avere i risultati degli esami sopracitati, possiamo prendere un normale metro da sarto e cominciare a misurare il collo, perché il collo ci dà un’informazione molto importante; le persone che hanno una misura sopra i 38/40 per la donna e i 40/42 per l’uomo hanno sicuramente un accumulo di grasso intorno al collo: questo grasso determina un collasso delle vie respiratorie e porta la persona a russare durante la notte.
Poi possiamo misurare la circonferenza all’altezza dell’ombelico che deve essere al disotto di 90 per le donne e 100 per gli uomini.
Se le misure sono al disopra è un problema serio, perché il grasso addominale è il grasso più pericoloso perché porta l’ipertensione, il diabete e altre malattie circolatorie.
Come detto bisogna liberarci della bilancia, è molto più importante il metro: il metro ci dà più informazioni per la salute rispetto alla bilancia. Ricordate sempre che il peso che si legge sulla bilancia è la somma della parte grassa, parte magra, acqua e ossa e quando si hanno oscillazioni di peso pensate sempre che non avete preso o perso ½ kg o 1Kg di grasso, avete preso o perso acqua, quindi le oscillazioni sono legate all’acqua.
Dobbiamo passare dal peso corporeo alla salute metabolica
La salute e la permanenza della sensibilità dell’insulina.
Quando una persona ha perso la sensibilità all’insulina ed è caduta in uno stato di “insulina-resistenza”, questo persona ha perso la sua salute metabolica e, se la salute metabolica è persa perché si è instaurata la resistenza all’insulina, prima o poi scatta il diabete che è una vera e propria epidemia del secolo. Quelli che hanno una resistenza all’insulina non riescono a dimagrire.
Se non si ha mai eseguito la ricerca delle insuline dell’ormone insulina nel proprio sangue, ne parli con il proprio medico e vada fare l’esame dell’ insulina e della glicemia, metta insieme i due valori in un’ indice con sigla inglese “HOMA” ( L’ Homa è un indice che si utilizza per valutare il grado di resistenza all’insulina, il quale origina il diabete di tipo 2. Non si tratta di un indice standardizzato, ma è un dato in più che ci aiuta a valutare il rischio di incorrere alla malattia del diabete, avendo dei fondamenti di tipo scientifico. La resistenza all’insulina si può valutare inoltre attraverso altri parametri o studiando i precedenti familiari oltre che attraverso l’esplorazione del corpo. La diagnosi del prediabete può avvenire quindi in maniera generale, se il glucosio a digiuno ha dei valori che oscillano tra i 100 e 125 mg/dl e se l’emoglobina glicata HbA1c ha dei valori che oscillano tra 5,7 e 6,5%.  Qualunque sia la diagnosi realizzata, la cosa più importante sarà quella di tenere sotto controllo la propria dieta, facendo attività fisica in modo da mantenere questi livelli stabili o migliorarli per evitare l’evoluzione del diabete ).
Metà della popolazione europea è in sovrappeso.
Noi ingrassiamo perché non abbiamo la conoscenza e il rispetto del nostro corpo; il grasso viene portato in luoghi che a noi sono invisibili come all’interno del fegato la steatosi epatica, oppure questo grasso può andare a finire nel sangue e creare problemi cardiocircolatori e poi finire negli adipociti. Questi grassi entrano dentro le cellule deputate all’accoglienza del grasso che si chiamano “adipociti”.
Il grasso genera grasso
Il grasso depositato nelle cellule adipocite aumenta di volume. Gli adipociti quando hanno raggiunto una dimensione critica non possono più ricevere il grasso quindi producono delle proteine infiammatorie che si chiamano “citochine”, le citochine vanno a finire nel fegato, il fegato reagisce producendo la vitamina C reattiva. Chi ha questo processo infiammatorio nel tessuto adiposo non dimagrisce, ma quelle citochine a sua volta agiscono sulle cellule staminali, che sono delle cellule madri, le cellule madri portano alla produzione di nuovi adipociti, insomma il grasso genera grasso, più grasso sia ha più grasso si avrà.
Non sottovalutiamo l’ipertensione. 
Un solo kg. di grasso corporeo contiene 3 km. di capillari, quindi se una persona ha 10 kg. di grasso in più avrà 30 km. di capillari in più. Siccome noi abbiamo 5lt. di sangue, il cuore avrà un battito cardiaco accelerato e soprattutto aumenterà la pressione, viene da sè che perdendo 1kg di grasso si riducono 3km. di capillari.
Quindi l’ipertensione nasce e si sviluppa quando abbiamo un processo infiammatorio e una massa grassa eccessiva.
Diventa utile la diagnosi domiciliare
Controllare la pressione e controllare la glicemia con un “glucometro”: con questo strumento si può fare una digitopuntura, prelevare un piccolo quantitativo di sangue e valutare la glicemia presente dopo un’ora, dopo due ore o anche dopo mangiato.
Dopo un’ora la glicemia non deve salire oltre i 120/130 mgx100millilitri, se invece il prelievo viene fatto dopo due ore non deve mai superare 140 perché se si va sopra i 140 siamo nel diabete.
Come possiamo fare per tenere sotto controllo questi valori quando ormai sin da piccoli siamo stati abituati a sapori e abitudini alimentari come la pasta, pizza, formaggi, carne e patatine?
Come detto prima, il nostro sangue cambia nella sua composizione ogni qualvolta noi mangiamo; per tenere bassa la glicemia , a volte è sufficiente cambiare la sequenza e l’ordine dei cibi ingeriti a ogni pasto.
In Italia se non mangiamo prima la pasta e poi la carne con patatine, con pane e beviamo vino e magari alla fine assumiamo un dolce, caffè e un liquore, non siamo soddisfatti: dobbiamo sentirci pieni.
Invece dovremmo iniziare il pranzo e la cena con un piatto di verdura cruda mista sia con ortaggi fibrosi sia di foglie verdi (possiamo anche inserire della frutta secca), condire con olio extravergine e limone o con aceto (che è molto importante in quanto neutralizza il sale). Nella verdura cruda c’è una fibra idrosolubile che passa dallo stomaco all’intestino e nell’intestino questa fibra rallenta l’assorbimento del glucosio: l’obiettivo è quello di tenere bassa la glicemia.
Dopo questo primo piatto si può passare a un piatto proteico, per esempio il pesce in quanto dà proteine nobili, in particolare la vitamina D.
Se mangiamo riso, è opportuno mangiare riso integrale, meglio il riso rosso, riso venere piuttosto che il riso bianco perché il riso bianco fa schizzare troppo la glicemia.
Noi dovremmo mangiare almeno 100/120 gr di carboidrati al giorno perché il nostro cervello utilizza solo glucosio, se noi non assumiamo carboidrati che contengono glucosio, il nostro cervello va in carestia. il cervello non conosce la dieta, e quindi se non gli diamo la quantità giusta di glucosio per la sua energia, il cervello entra in carestia e allora produce più cortisone e ci fa perdere muscolo. Una persona può perdere peso ma non perdere muscolo. Ricordiamo che i carboidrati sono praticamente dappertutto.
Terminiamo con un piatto di verdura cotta perché la verdura cotta permette la liberazione di carotene che aiuta la funzionalità cellulare, per esempio il grasso è giallo perche contiene carotene.
Impariamo a utilizzare i cereali 
perché il nostro intestino che ha il “microbiota” desidera i cereali.
Se ci potessimo osservare per intero attraverso un microscopio probabilmente la nostra reazione non sarebbe delle migliori. Ci vedremmo infatti ricoperti da un tappeto di microrganismi che abita la nostra pelle e le nostre mucose interne. Intestino, bocca, naso, gola, pelle e regione urogenitale, infatti, ospitano circa 39 trilioni di microrganismi che si occupano della nostra salute – e anche di alcune nostre malattie – trovando in cambio vitto e alloggio. Molta è l’attenzione, sia scientifica che commerciale, che è stata rivolta a questa miriade di microrganismi che convive con noi, nota con il nome di microbiota, tanto che lo si vorrebbe riconosciuto come un vero e proprio organo da curare o addirittura da sostituire quando viene irrimediabilmente danneggiato.
Jonathan Eisen è professore alla University of California, dove studia l’habitat, l’evoluzione e la genomica della “nuvola” di microrganismi che vive con noi. È così convinto della sua importanza che lo slogan del suo laboratorio è “May the microbes be ever in your favor”(“Possano i microbi essere a tuo favore sempre).
Termine microbiota
Con il termine microbiota si intende l’insieme dei microrganismi simbiotici, soprattutto batteri, che convivono con il nostro organismo. Si stima che ognuno di noi possa ospitare fino a 10 mila specie diverse e che il numero di microrganismi che ci portiamo dietro superi il numero di cellule che costituisce il corpo umano: un bagaglio che pesa circa un chilo e mezzo e ci identifica come un’impronta digitale. Gli abitanti di questa nutrita comunità possiedono un patrimonio genetico – il microbioma – con un numero totale di geni che sembra essere 100 volte superiore al numero di geni presenti nel genoma umano. Ma la cosa interessante è un’altra. Gli studi effettuati sul DNA mostrano che tra i microrganismi che vivono in diversi “habitat” del corpo umano, come ad esempio bocca e intestino, esiste una differenza maggiore di quella che si riscontra tra i batteri che vivono in ambienti terrestri diversi. Inoltre, se è vero che condividiamo il 99,99% del DNA con un altro essere umano, la similitudine del nostro microbioma con quello del nostro vicino di casa, per esempio, è solo del 10%. Siamo ospiti quindi di un’incredibile biodiversità che ci caratterizza come un’impronta digitale. L’analogia è così calzante che sono state sviluppate tecniche forensi in grado di identificare con buona precisione un individuo sulla base delle tracce di DNA microbico che può aver lasciato sugli oggetti che ha toccato. Il microbiota è dunque un vestito che ci viene cucito addosso nel momento in cui veniamo al mondo e che si modifica in base ad alcune nostre abitudini. Il corredo di batteri che ci accompagna fin dal momento del parto, infatti, risente di fattori come l’alimentazione, l’uso di farmaci, terapie ormonali o consumo di alcool. Gli effetti di questi cambiamenti non sono ancora del tutto noti, ma un numero sempre crescente di studi sta confermando quella che ormai è diventata una certezza: il microbioma è connesso a molte malattie importanti e mantenere una comunità di microrganismi “sani” ha importanti ripercussioni nella nostra salute.